sabato 29 maggio 2010
Schizofrenia da consumo: ecco l'ipad.
È arrivato l'ipad, gli idioti c'erano già. C'era chi l'ha ordinato da internet e l'ha avuto in anticipo, chi si è messo in coda ai negozi, chi sostiene che da un anno risparmia per poterlo acquistare. Ma a vincere sicuramente sono stati quel gruppetto di folli che s'è accampato a dormire davanti ai negozi. Manco fossero le ultime riserve alimentari del pianeta. Il più venduto dicono sia stato quello più costoso (800 euro); alla faccia della crisi! Mi chiedo cosa ci sia di così sensazionale: guarirà dai tumori? Permetterà di risolvere i problemi ambientali? Guarirà i pazzi e i depressi si sdepresseranno con buona pace degli psicologi che dovranno trovarsi un nuovo lavoro? Quest'ultimo punto, forse, il meno desiderabile: dove ce la mettiamo ora questa nuova forza lavoro?
Mi rimane difficile comprendere l'euforia, l'incontenibile follia, il desiderio ossessivo per un oggetto che fin'ora nelle nostre vite non c'è stato e che ora sembra necessario alla sopravvivenza. Ho letto un'intervista dove il consumatore evidenziava il fatto che lui aveva risparmiato un anno per arrivare a questo giorno. Pensare che io me ne sono accorto solo qualche giorno fa che arrivava questo "icoso". Sfogliando Repubblica c'era un inserto pubblicitario che diceva che tra poco Repubblica si sarebbe potuta leggere sull'ipad. Anziché esclamare wow!, la mia domanda è stata: e che cos'è un ipad? A che serve? Ho reperito informazioni e dovrebbe essere una tavoletta che può contenere al suo interno una serie di applicazioni, libri, quotidiani. Ho cercato delle foto ed ho visto le sue dimensioni: come faccio ad andare in giro con un oggetto del genere? Almeno il giornale cartaceo se la panchina era bagnata potevi metterlo sotto le chiappe! Non riesco ad afferrarne uso ed utilità. È da portare in giro o da consumare a casa?
Un'essenzialità di plastica, l'ennesima idiozia della modernità che crea dipendenza e bisogno di un oggetto mai avuto. Il sorriso dei dittatori del pil che sperano che l'innovazione sollevi l'economia. Il luccichio degli articoli di giornali, delle pubblicità, l'enfasi delle televisione: vento che ha spinto la gente a credere che ciò fosse necessario. Ecco l'ipad, l'ultimo ritrovato delle essenzialità di plastica. Guardo il mio "Novelle per un anno" di Luigi Pirandello, acquistato in un mercatino e finito di stampare il 4 febbraio 1943. Ingiallito ma perfettamente sfogliabile, leggibile, con lo stesso identico aroma di carta viva! Che ne sarà di un ipad quando varcherà la soglia dei 70 anni? E dei suoi contenuti? Persi. La modernità e la tecnologia decreteranno la fine della storia dell'uomo. Non ci sarà sempre questo lusso, e se un giorno dovesse avvenire una catastrofe che decreterà la fine dell'elettronica, che ne sarà del sapere accumulato in formato digitale? Perduto per sempre. E-book e ipad saranno relitti senza quel fascino lucente che li aveva fatti esaltare al loro fiorire. Ma rimarrà sempre, ancor più gialla, ma leggibile, quella fantastica edizione delle "Novelle per un anno" finita di stampare il 4 febbraio 1943.
lunedì 10 maggio 2010
Un importante ricerca sul sonno.
Un gruppo di ricercatori inglesi, in collaborazione con i ricercatori dell'università di Napoli, hanno condotto uno studio sul sonno per vedere quanto il sonno sia importante per la nostra esistenza. Fin da piccoli ci hanno martellato la testa con la storia del dormire almeno 8 ore. Il che vuol dire che già in partenza dormiamo 1/3 della nostra vita. Ce ne rimangono 2/3. La ricerca però non era tesa a svelare quanto ci rimane da vivere (in parte sì), bensì era rivolta a studiarne gli effetti sulla nostra vita.
Gli studiosi hanno confermato che bisogna dormire tra le 6 e le 8 ore. Un tempo lessi che il cervello per memorizzare la giornata e metterla nel cassetto dei ricordi doveva dormire almeno 6 ore. Dormire meno di 6 ore porta a non registrare tutte le informazioni raccolte durante il giorno. Per un periodo abbastanza lungo ho cercato di perdere meno ricordi possibili e cercare di far rientrare il mio sonno in un arco di almeno 6 ore. Piano piano sto scendendo ad accettare la soglia delle 5 ore. Mi costerà un'ora di ricordi? E sia, spero solo sia un'ora lavorativa!
Tra i risultati più allarmanti che emergono dalla ricerca, c'è la stima della vita media dei dormienti. Emerge infatti che chi dorme meno di 6 ore a notte, ha il 15% di possibilità in più di morire prima dei 65 anni. Ma chi dorme più di 8 ore ha il 30% in più di possibilità di morire prima di quelli che dormono meno di 6 ore. Alla luce di questi dati, la stima della vita (che dorme meno di 6 nella settimana, e più di 8 nel week end) del sottoscritto presenta notevoli problemi, che andrebbero valutati con l'ausilio di una tavola statistica, o la stima di un valore delle ore di sonno ponderato.
Vorrei incontrare questi emeriti studiosi e chiedergli come hanno fatto. Hanno per caso riesumato i morti chiedendo loro quante ore dormissero, constatando che i morti prima dei 65 anni dormivano o troppo poco o troppo a lungo e che, i morti dopo i 65 anni avevano un valore minimo di 6 ed un valore massimo di 8. Oppure hanno seguito degli individui per l'intero arco della loro vita, segnando notte dopo notte tutte le ore delle loro dormite mettendo una X al giorno della loro morte. O ancora, facendo una stima del livore delle occhiaie, hanno stabilito una scala di colore che misura quanto resta da vivere ad un individuo? Ma soprattutto, non ci avranno dormito la notte per fare questa ricerca?
Conclusione:
Ma non sarà semplicemente che chi sta in salute dorme meglio??
lunedì 3 maggio 2010
L'ultimo show man: sulla morte di Vianello.
"Raimondo! Raimondo!".. Ho queste parole che echeggiano nella mia testa; le ho sentite pronunciare dalla voce rotta dal pianto di Sandra Mondaini. Lo hanno trasmesso i telegiornali, ormai contenitori di strazianti cronache e testimonianze di dolore. Non lo avrebbe fatto in quel modo il servizio della sua morte il signor Vianello, no. Lui, persona ironica, d'umorismo fine, inglese, ci avrebbe scherzato su. L'avrebbe presa con gioconda ilarità. Questo era il suo stile: è quello che traspare anche da una delle sue ultime interviste, quando, salutando l'amico Mike Buongiorno, disse "mike, aspettaci". E ci scherzava. Perché Vianello era così e perché in fondo se per 80 anni hai sorriso e fatto sorridere, che mai può spaventarti della morte?
Ebbene, mi piace immaginarlo ascendere con il suo sorriso, un satiro leggero alla corte di Dio. Cosa ci lascia? Eh, il peggio è certamente tutto nostro. Ogni volta che un grande se ne va, molti sono preso da sgomento. Oggi ancor di più, perché viviamo una deprimente transizione (in peggio) del grande circo televisivo. Vedere le immagini di casa Vianello, la semplicità e la finezza del suo umorismo, non può che mettere un'immediata nostalgia. Certo, Vianello già da tempo era una sporadica rimenbranza nei palinsesti, inserito nell'album dei ricordi di una televisione che un tempo era almeno gentile, elegante. Elegante è il termine giusto. Sì, Vianello, come anche Gino Bramieri, erano commedianti televisivi eleganti. Come non piangere la scomparsa di questi grandi personaggi, quando quello stesso schermo a distanza di pochi anni si riempe di risate volgari, di meschinità, di non sensi e format che hanno solo il gusto dell'audience per famelici pubblicitari?
"Raimondo! Raimondo!" Non è solo Sandra che ti chiama. Lo fa anche chi da anni non accende la tv o lo fa in rare occasioni e che, ai tuoi tempi invece, ti guardava con gusto. Un gusto un po' teatrale, schietto, raffinato. Ci lasci con il tuo corpo in balia di una tv ormai barbara, che ha perso quell'intrattenimento docile dei suoi maestri. Quella satira sì, spesso corrosiva, ma mai offensiva. Quella tv, ormai lontana e che non dispensava odio, ma che aveva ancora un nobile scopo di diffondere qualcosa: la passione. Altra parola fondamentale la passione: passione con il quale hai svolto il tuo mestiere di mercante di sorrisi, di frecciatine sarcatische. Quella passione che bisognerebbe insegnare ai nuovi show man, mossi dall'esibizionismo e dal successo, e per arrivare a tanto disposti anche a cadere nel trush. Che importa diranno, l'eleganza è morta, il successo è barbaro, la passione è frivola, i soldi gonfiano le vele di questo veliero produttore di illusioni irreali. Ed ecco. Irreale. Siamo al culmine. Ci propinano l'irreale spacciandolo per reale. Ma tu, che della finzione scenica hai fatto il tuo mestiere della vita, non ci hai mai ingannato. Eri vero. Perfino quando con le tue frecciatine schernivi la tua Amata Sandra, guardavi la telecamera, col tuo occhio vispo: una luce improvvisa passava, come a dire "Non ci credete. Amo da morire la mia Sandra".Ciao Raimondo, uomo di televisione, una televisione ch'era tutta un'altra storia. Ora si cambia canale; anzi no: la spegniamo del tutto, a meno che tu non decida di tornare.
Il rifugio della Castità
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Le istituzioni religiose hanno sempre rappresentato una certezza nella vita dell’uomo. Una sorta di colla che tiene insieme il tessuto sociale, contribuisce a formare uno spirito di comunione tra gli individui e che spesso, in tempi di crisi, ha fatto sì che le società non si disgregassero. I momenti bui della storia sono sempre stati i preferiti delle istituzioni religiose. L’uomo cerca un sostegno e lo trova nella religione, in una figura pastorale fidata che possa alleviare paura e sofferenza. Ma se sono proprio quelle figure a macchiarsi del più orribile degli abusi, a violare l’innocenza di creature indifese, allora l’uomo rischia di non saper più quale sia la sua ancora di salvataggio. Per giunta in un periodo un cui l’uomo ha bisogno di sostegno di fronte a crisi economiche, ad incertezze e l’impoverimento non solo del suolo terrestre, ma della stessa coscienza civile umana. Ai barbari s’affiancano i “Preti pedofili”, un volto delle tante barbarie moderne: un connubio di difficile accettazione eppure aleggia sulle nostre vite come un odioso spettro. Lo spettro della pedofilia si affacciò la prima volta 3 anni fa, quando in rete inizio a circolare l’inchiesta della bbc sul “crimen sollecitation”, il documento vaticano che invitava a mantenere il riserbo sui casi di pedofilia all’interno della Chiesa. Un opera di nascondimento dei fatti, forse ancor prima che ad appoggiare gli abusi, si ispiravano ad un ideale un po’ borghese: “anche se abbiamo i problemi a casa, agli altri facciamo vedere che siamo felici e sorridenti”. Ciò diviene difficile ai tempi di internet, e il documentario circola negli ambienti virtuali, nei salotti dei forum, delle community. L’homo ciberneticus lo sapeva, l’homo videns no. In tv ci volle Annozero, tra mille polemiche, per una puntata speciale sul caso preti pedofili. Si parlò di attacco vergognoso verso la Chiesa, di inconsistenza del documentario, del fatto che si trattasse di casi isolati in qualche parrocchia americana o del sud america. Il fatto dei preti pedofili in nessun modo riguardava l’Italia. Questo è ciò che la Chiesa e la Cei sostenevano. Purtroppo per loro e per le vittime così non è. Lo spettro aleggia ancora, s’ingrandisce ed invade l’Europa e l’Italia. Una nube tossica destinata ad espandersi.
La Chiesa avrebbe potuto prendere le distanze, condannare senza mezzi termini, assumere il ruolo di guida morale per scacciare i peccatori all’interno delle proprie mura. Invece, spesso si è difeso, in nome di un perdono accettato solo tra le proprie grazie e non altrove. Prendere in mano il testimone di giustiziere morale (visto che a questo ambiscono con invadenza ogni giorno) e prendere provvedimenti al fine di conquistarsi la fiducia e non lucrare sulla vita rovinata di fragili infanti per paura di perdere schiere di fedeli. Ed ora che il caso è esploso, l’opportunità di redenzione e di mea culpa si è presentata, ma di giorno in giorno sono state fatte dichiarazioni sempre più compromettenti, ambigue, spigolose, solo nel tentativo di spostare l’attenzione sui cavalli di battaglia vaticani. Dichiarazioni che hanno sortito il solo effetto di accendere maggiori polemiche (si perdona la pedofilia e non l’aborto; c’è associazione tra omosessualità e pedofilia).Un vero pasticcio. Ma cosa lega la pedofilia e la Chiesa? Il pedofilo è innanzitutto un uomo che ha una patologia: è attratto da individui che non hanno raggiunto lo stadio della pubertà. È possibile che esista correlazione tra Pedofilia e Chiesa? In parte sì. Chi prende i voti per indossare gli abiti talari, fa anche voto di rispettare il vincolo della castità; questo non per dire che ad ogni casto corrisponda un pedofilo, ma certamente gli impulsi sessuali ce li hanno tutti gli esseri umani e la castità costituisce un vincolo contro natura. Il pedofilo è un soggetto che ha una patologia, ed è altamente probabile che il soggetto sia già malato prima di farsi prete ma, la castità, agli occhi del soggetto patologico, può costituire certamente un rifugio dove nascondere la propria perversione, prima ancora che agli altri a se stesso. Perciò il prete pedofilo potrebbe essere un individuo che fugge la perversione, nasconde la malattia a se stesso indossando una falsa maschera di castità e devozione a Dio nei confronti soprattutto di se stesso.
Servirebbe davvero discutere su questo punto all’interno della Chiesa. Inutile scusarsi: una scusa non restituisce a nessuno la propria infanzia violata! L’unica cosa è guardare avanti, lavorare affinché questo non si ripeta in futuro. E la misura da prendere è innanzitutto eliminare il vincolo della castità: perché i membri di un istituzione che parla d’amore si precludono la possibilità di costituire un nucleo familiare, nido primario ove l’amore sboccia? Perché, un uomo altamente religioso e altresì innamorato di una donna deve vedersi costretto a scegliere tra abito e donna? Ognuno è fatto di carne e, rivedere la castità, significa far sì che l’abito non costituisca più un rifugio per soggetti malati, ma una vera e propria presa di coscienza del soggetto devoto a Dio.